Alcuni di questi libri, anzi tutti, li proporrei fra i testi da rendere «obbligatori nelle scuole» e comunque li suggerisco a tutti gli Italiani per la scoperta della propria identità nazionale.
L’elenco è ordinato per anno di viaggio e/o pubblicazione del diario.
Mare e Sardegna
di David Herbert Lawrence
Mare e Sardegna è un libro di viaggio dello scrittore inglese D.H. Lawrence effettuato nel gennaio del 1921.
Descrive il viaggio intrapreso nel Gennaio 1921 da Lawrence e Frieda, la moglie chiamata anche Queen Bee (Ape Regina), da Taormina in Sicilia verso Cagliari e poi nell’interno della Sardegna.
Nonostante la brevità della sua visita, Lawrence distilla una sua particolare essenza dell’isola e della sua gente, oggi ancora riconoscibile.
Originariamente pubblicato a puntate in The Dial nei mesi di ottobre e novembre 1921, è stato poi edito in volume lo stesso anno a New York da Thomas Seltzer, con illustrazioni di Jan Juta.
Tra le opere che i viaggiatori stranieri hanno dedicato alla Sardegna, questa è una delle più affascinanti e poetiche.
La presente traduzione è la prima in lingua italiana che sia stata condotta sul testo ricostruito filologicamente dall’edizione Cambridge sulla base del dattiloscritto originale.
«Lontano dietro di noi il sole si stava appena alzando sopra l’orizzonte del mare, e il cielo tutto d’oro, un oro gioioso, infiammato, e il mare era luminoso, cristallino, il vento placato, … la schiuma … era di un pallido azzurro ghiaccio nell’aria gialla.
Dolce, dolce vasto mattino sul mare»
ITINERARIO DEL VIAGGIO
Fino a Palermo – Il mare – Cagliari – Mandas – Verso Sorgono – Verso Nuoro – Verso Terranova e il vapore – Il ritorno
AUTORE
David Herbert Richards Lawrence (nella foto con la moglie Frieda) nacque a Eastwood l’11 settembre 1885, scrittore, poeta, drammaturgo, saggista e pittore inglese, considerato tra le figure più emblematiche del XX secolo.
Insieme a diversi scrittori dell’epoca, fu tra i più grandi innovatori della letteratura anglosassone, soprattutto per le tematiche affrontate.
Dopo varie vicissitudini e le prime esperienze letterarie, nel gennaio 1921 visitò la Sardegna: frutto della «necessità assoluta di muoversi» fu Sea and Sardinia (Mare e Sardegna).
Tra il 1922 e il 1925 viaggiò in India, Australia e Messico.
Nel 1925 fece rientro in Europa, dove, nel periodo compreso tra il 1926 e il 1928, riprese e intensificò la sua attività di scrittore e pittore; a quegli anni risale il capolavoro L’amante di Lady Chatterley.
Una grave forma di tubercolosi lo spinse negli ultimi anni della sua vita alla ricerca di luoghi salubri e luminosi: in Provenza, poi a Maiorca e, ancora, nel sud della Francia, a Vence, dove morì il 2 marzo del 1930.
di Alexandre Dumas (padre)
Molti furono gli scrittori che subirono il fascino dell’antica terra di Calabria, pittoresca e romantica, che costituisce sempre fonte straordinaria di inesauribile di ispirazione.
Ma quelli erano “viaggiatori” che avevano percorso quasi gli stessi itinerari obbligati, seguendo anche loro un iter misto marittimo-terrestre, protetti da guardie armate.
I loro scritti erano quasi sempre annotazioni e descrizioni precise dei luoghi visitati, pagine di diario dal tono talvolta rigoroso nel contesto della realtà osservata.
Il Viaggio in Calabria di Alexandre Dumas (1802-1870) che l’autore svolge nel 1835, all’indomani del viaggio in Sicilia per seguire la missione dei 1000 di Garibaldi, costituisce invece una raccolta di sensazioni suscitate nell’immediatezza della visione oggettiva dei fatti e dei fenomeni percepiti, ma successivamente trasportate in un’atmosfera romantica attraverso stimolazioni suggestive elaborate in trasposizione fantastica.
Il libro si offre al lettore con tutta la piacevolezza e la scorrevolezza di un romanzo di avventura in cui lo scrittore, talvolta, sembra quasi aver assimilato il piglio sfrontato e scanzonato di un guascone, tipico di alcuni personaggi dei suoi più celebri romanzi: «Nulla mi mette il corpo e l’anima a bel’lagio come una risoluzione presa, fosse esattamente contraria a quella che si contava prendere».
L’atteggiamento dell’autore è tollerante e spesso anche simpaticamente ironico nei confronti di una realtà sociale arretrata, ma ugualmente affascinante per la tua spontaneità ed anche perché inserita in un paesaggio fra i più belli che avesse mai visitato.
Attraverso la lettura delle 146 pagine del racconto è possibile ripercorrere fantasticamente quel viaggio che Dumas, scrittore dallo spirito avventuroso e amante del bello del nuovo, effettuò in Calabria, in quei luoghi da cui più era attratto per la loro natura selvaggia ed Immacolata.
Le varie esperienze, vissute in prima persona talvolta anche in situazioni di pericolo, vengono narrate con aderenza alla realtà tramite immagini che presentano, a volte, una trasfigurazione immaginifica tale da renderle maggiormente ricche di fascino.
Si riconoscono al Dumas le doti sinestetiche che caratterizzano un grande scrittore: il saper ottenere degli “effetti” che rendano vive le immagini, il trasmettere calore emotivo, il suscitare partecipazione, il creare vivacità di movimento all’interno del racconto.
Lo stile non osserva sempre il rigore di uno scritto di contenuto storico-geografico, ma si avvicina piuttosto alla spontaneità di un romanzo popolare.
Lo scrittore esprime il suo rammarico nel salutare quel «posto della terra in cui avevamo trovato il più completo riposo» e così aggiunge: «al momento di lasciare la Calabria cominciavamo a sentirci legati, malgrado tutto quello che avevamo sofferto, a questi uomini così curiosi da studiare nella loro rudezza primitiva e a questa terra così pittoresca da osservare nei suoi sconvolgimenti eterni».
L’interesse del viaggiatore verso ogni nuova conoscenza passa attraverso il vaglio dell’ironia del suo carattere eclettico e pungente: tutti elementi dai quali risulta una lettura particolarmente piacevole e stimolante.
Pubblicata per la prima volta nel 1956, un anno prima della morte dello scrittore, l’opera è frutto di una lunga e tormentata elaborazione iniziata ben 20 anni prima.
Parlando sempre in prima persona, Malaparte ricostruisce quelle che ritiene le principali caratteristiche dei toscani e in particolare dei suoi concittadini, i pratesi.
Unendo episodi della propria giovinezza a esempi del passato, soprattutto medievali, e alla descrizione dei più bei paesaggi della sua regione, Malaparte identifica il toscano come l’antitesi dell’Italiano definendolo in primo luogo “spregioso” (che prova cioè disprezzo nei confronti di tutti gli altri esseri umani, che vede come stupidi e servili), per poi identificarlo come sboccato, cinico, ironico, insofferente nei confronti di tutte le autorità costituite (anche e soprattutto la Chiesa cattolica), sanguigno, onesto, realista, pratico, pragmatico, lavoratore (traffichino) ma soprattutto intelligente e per questo libero, persino dalla paura della morte.
Identificando poi il popolo toscano come degno erede di quello greco, Malaparte indica come caratteristica fondamentale del toscano un senso della misura che si rispecchia anche nei più grandi nomi della cultura nati in Toscana (Dante, Brunelleschi, Botticelli, Boccaccio su tutti, mentre di Michelangelo critica il “passaggio” ai modi romani).
Tutte queste caratteristiche sono il motivo per cui, secondo l’autore, ogni altro italiano (ad eccezione degli umbri) si trova in difficoltà se non proprio in imbarazzo davanti a un toscano, che con il suo solo sguardo ironico è capace di dichiarare tutto il suo disprezzo; per tale ragione l’autore afferma che “maggior fortuna sarebbe se in Italia ci fossero più toscani e meno italiani”.
Cento luoghi di-versi. Un viaggio in Italia
di Franco Marcoaldi e Tommaso Montanari
Il profilo di un paese tanto straordinario quanto indecifrabile disegnato pagina dopo pagina da un poeta (Franco Marcoaldi) e uno storico dell’arte (Tomaso Montanari) che si offrono vicendevolmente parole in versi ed immagini.
100 luoghi fisici, simbolici, mentali, illustrati con 100 immagini, affiancati da 100 testi poetici, di ogni epoca e provenienza, che colgono in modo assolutamente peculiare l’anima della nostra Italia: il suo paesaggio, la sua arte, i suoi abitanti.
Non si tratta di un vero e proprio itinerario fatto di luoghi territoriali, fisici, concreti, ma di luoghi dell’anima, del pensiero filosofico.
Lo scopo del libro è quello di offrirci una guida lontana da ogni cliché per una riscoperta personale e profonda di un territorio senza eguali.
Nulla di enciclopedico né di esaustivo in questo singolare viaggio italiano, quadro appassionato e idiosincratico di una certa idea di paese.
Un’idea che affiora nella convivenza simultanea di diversi tempi storici e diverse modalità espressive che si tessono e intrecciano tra loro per analogia o per giustapposizione.
E dove lo stesso lettore è invitato a vagare a suo piacimento, a seconda della sua sensibilità ed esperienza.
Per ritrovare, attraverso un inedito percorso di conoscenza e un rinnovato sentimento di appartenenza, le proprie radici.
Il Bel Paese
dell’Abate Antonio Stoppani
Questo è il libro dal quale principiò la mia passione per l’Italia, ispirandomi Penisolabella.
Mi fu regalato da ragazzo, poi nel tempo lo persi di vista e quando lo ricercai nella mia libreria non lo trovai più; così ultimamente cercai di riaverlo.
Sono riuscito, attraverso internet, a trovarne una preziosa copia del 1890 “cogli accenti tonici sulle parole ad uso delle scuole”.
Il Bel Paese è un libro pubblicato nel 1876 dell’Abate Antonio Stoppani.
Il titolo completo, nello stile dei testi didattici dell’epoca è “Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d’Italia“.
«L’autore, pigliando la veste di uno zio naturalista che racconta ai nipoti, percorre da un capo all’altro “il Bel Paese che Appenin parte e ‘l mar circonda e l’Alpe”»
(Dall’introduzione “Agli institutori”)
L’autore, con l’artificio di conversazioni didattico-scientifiche attorno a un caminetto, presenta nozioni di scienze naturali sul territorio italiano, con termini accessibili al lettore medio dell’epoca e con un occhio particolare verso la geologia e le bellezze naturalistiche delle diverse regioni.
Il titolo riprende il famoso verso «il Bel Paese ch’Appennin parte, e ‘l mar circonda et l’Alpe» del Canzoniere di Francesco Petrarca (canto 146) con cui il poeta richiama l’immagine dell’Italia.
Il testo è suddiviso in capitoli, corrispondenti alle “serate” in cui l’autore descrive i diversi luoghi d’Italia. Nella prima edizione i capitoli erano 29; nella terza edizione del 1881 fu inserita un’appendice con altre 5 serate:
Da Belluno ad Agordo – Gli alpinisti e i viaggi alpini – Da Agordo a Udine – Il Ghiacciaio del Forno – Il passo dello Zebrù – Il passo del Sobretta – Da Milano al Salto della Toce – Le caverne di Vallimagna – Loreto e la levata del sole – La tempesta di mare – La fosforescenza del mare – Il petrolio e la lucilina – Da Milano a Tocco – Le sorgenti di petrolio – I pozzi di petrolio – Le Salse – I vulcani di fango – Le fontane ardenti – La buca del Corno – I pipistrelli – Il letargo e le migrazioni – Le Alpi Apuane – I marmi di Carrara – Il Vesuvio dell’antichità – Il Vesuvio nella fase pliniana – Il Vesuvio nella fase stromboliana – Il Vesuvio nella fase pozzuoliana – L’Etna – La valle del Bove – Ricordi del Monte Rosa – I nostri laghi – L’incendio del San Martino – Il Reno a Sciaffusa e l’Adda a Paderno – Le marmitte dei giganti
Il volume divenne enormemente popolare per vari decenni, probabilmente grazie alla sovrapposizione tra l’ambito scolastico e quello naturalistico ed escursionistico, da collegare al successo del Club Alpino Italiano all’epoca.
Nel testo, nelle vesti di uno zio, l’autore intendeva far conoscere agli italiani il proprio paese, che considerava spesso trascurato rispetto allo studio di paesi lontani, invitando a coltivare il sentimento nazionale, senza però prescindere da un’appartenenza regionale.
L’aspetto educativo comprendeva anche la critica per l’ozio e l’invito ai giovani a praticare attività fisiche come l’alpinismo.
Nel 1906 il titolo del libro fu anche usato per denominare e lanciare un nuovo formaggio, prodotto in Lombardia, il Bel Paese Galbani.
Sulla confezione era riportato il ritratto di Antonio Stoppani.
I paesaggi del cibo
Luoghi e prodotti della nostra terra
Cibo e paesaggio, prodotti e territorio sono i temi di cui si scrive in queste pagine e dei quali il Touring Club Italiano si occupa da oltre 100 anni, con la consapevolezza che ormai quasi sempre la buona tavola è incentivo al viaggio ma insieme deve diventare stimolo a un nuovo modo di fare turismo.
Conoscere i paesaggi del grano, del vino e dell’olio, della carne e del latte, della frutta e della verdura, senza dimenticare i molteplici paesaggi del bosco e dell’acqua, consente pertanto di svelare il circuito di relazioni e la condivisione di metodi che da secoli caratterizza la cultura alimentare italiana.
Questo volume vuole essere un invito alla comprensione della storia dietro la geografia (e della geografia dietro la storia) e una ”guida alla lettura” che aiuti a capire i significati degli spazi dove viviamo, i tanti modi in cui il territorio è ordinato e come tutto ciò si traduce in termini di risorse alimentari, la cui straordinaria varietà ha generato una cucina famosa in tutto il mondo.
Collana: Divulgazione E Illustrati
Editore: Touring Editore
Pagine: 304
Anno edizione: 2017
Viaggio in Italia
(il Mulino n. 6/2017)
Racconto di un Paese difficile e bellissimo
Sessant’anni dopo Piovene si può dire qualcosa del nostro Paese ricorrendo alla formula del «viaggio in Italia».
Questo numero monografico è un racconto composto lungo la Penisola grazie a una straordinaria rete di collaboratori che, il nostro Paese, lo studiano e lo analizzano per mestiere ogni giorno.
Via via che arrivavano le corrispondenze dalle varie città, dalle regioni, dai territori maturava l’impressione che questo viaggio aggiungesse diversi elementi alla comprensione di un’Italia che, paradossalmente, viene descritta con regolarità da grafici e tabelle, con abbondanza di cifre e percentuali, ma che in realtà non conosciamo se non in piccola parte.
Siamo sommersi di dati e conosciamo così poco quel che succede nel nostro Paese, specie nel nuovo secolo e con la grande crisi.
Un paradosso che si può cogliere nella ripetitività dei commenti a molte analisi macro – dopo un rapporto annuale sull’economia, dopo un’indagine demografica, dopo l’ennesima rappresentazione statistica – e che ci conducono il più delle volte alla stessa conclusione: siamo un Paese alla deriva, destinato inesorabilmente a declinare, nonostante sacche più o meno piccole di eccellenza sparse qua e là.
Ma è davvero così?
BOLOGNA / MODENA / PARMA / PISTOIA / PRATO / FIRENZE / PISA / SIENA / L’UMBRIA / IL LAZIO / LE CITTÀ DELLA CAMPANIA / NAPOLI / NAPOLI, LA CITTÀ DI SOPRA / SALERNO / COSENZA / CATANZARO / LA CALABRIA / CATANIA / SIRACUSA / RAGUSA E GLI IBLEI / LE MADONIE / PALERMO / LA SARDEGNA / LA SPEZIA / LA VAL BORBERA / GENOVA / VENTIMIGLIA / IL CUNEESE / TORINO / LA VALLE D’AOSTA / VARESE / MILANO / MILANO, VIA PAOLO SARPI / BERGAMO / BRESCIA / IL TRENTINO / L’ALTO ADIGE / IL FRIULI / UDINE / TRIESTE / VENEZIA / TREVISO / VICENZA / PADOVA / FERRARA / LA ROMAGNA / LE MARCHE / ANCONA / L’ABRUZZO MERIDIONALE / FOGGIA E IL TAVOLIERE / BARI / LA MURGIA DEI TRULLI / IL SALENTO / TARANTO / MATERA / LA BASILICATA / CAMPOBASSO / L’AQUILA / ROMA / ROMA, LA CITTÀ PERIFERICA
Questo volume, frutto di un progetto collettivo nato in seno al comitato di direzione della rivista «il Mulino», è curato da Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata all’Università di Bari, e da Bruno Simili, vicedirettore della rivista.
L’Italia degli itinerari perduti
1997
1670
«Entrò vittorioso Roberto [il Guiscardo] anno 1055 – si fè giurare homaggio e conoscendo, che il dominio della Calabria dipendeva assolutamente dall’assicurarsi di questa Piazza, sì per esser in sito naturalmente inespugnabile, come per star situata nel centro della Provincia, per dove con facilità si può tramandar a gli altri luoghi soccorso in tempo di guerra, vi fondò un fortissimo Castello in quell’estremo della Città, sopra un masso di scoglio al di fuori tagliato, con torri e bastioni sì bene intesi, che alla fortezza sua naturale congiunti, lo resero sicuri di batteria e di scalate… » (Vedi volume con testo completo)
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Passeggiate per l’Italia (Wanderjahre in Italien)
Nella primavera del 1852 Ferdinand Gregorovius decise di partire per l’Italia: Il 2 aprile 1852 lasciai la città di Königsberg si legge alla prima annotazione dei suoi Diari romani, e, poco più avanti, Il 19 aprile entrai in terra d’Italia, a Venezia.
Il viaggio di Gregorovius verso il sud (che diventerà un soggiorno più che ventennale, soprattutto a Roma), che fruttò la scrittura di cinque volumi, non ha la natura del Grand Tour che da alcuni decenni conduceva i giovani ricchi del nord Europa verso il mondo mediterraneo, ma fa piuttosto pensare a quel tipo di “emigrazione intellettuale” che nei secoli precedenti era stata caratteristica degli artisti – soprattutto figurativi, e generalmente ricchi solo del proprio genio – che scendevano in Italia per confrontarsi con l’arte classica e farvi fortuna. Poi, certo, c’è Goethe, come modello di attenzione e di sensibilità. Ma la caratteristica tutta propria di Gregorovius è che con lui non arriva un pittore ma uno storico, non un giovane da educare, ma un uomo di trent’anni in cerca delle tracce materiali del proprio mito personale e, certamente, della propria “fortuna”, intesa in senso latino, cioè del proprio destino, di cui vede ancora solo confusamente la forma, ma percepisce l’urgenza.
In Italia Gregorovius rimase ininterrottamente fino al 1860, e complessivamente per più di vent’anni. Prima ancora di arrivare a Roma andò ad esplorare la Corsica, allora assolutamente selvaggia. Tra il 1852 e il 1853 continuò la propria esplorazione mediterranea con viaggi in Ciociaria (dove rimase estasiato alla vista dell’Acropoli di Alatri), a Napoli e in Sicilia. Da ognuna di queste esperienze – si trattava di veri viaggi, da un mese o due, fitti di curiosità (non solo letterarie e artistiche, ma anche naturalistiche e – diremmo oggi – sociologiche) e di contatti con le persone del luogo; nascevano scritti e relazioni intellettuali e umane: La Corsica gli fece una forte impressione, che egli trasferì in un saggio che fu presto tradotto in Francia e in Gran Bretagna, e le sue relazioni con le persone incontrate in quell’occasione durarono per anni; su Capri, oltre a note sparse, scrisse un saggio trent’anni dopo; l’incontro con la Sicilia produsse idilli, frammenti e molte traduzioni di Giovanni Meli.
Nel 1877, a Lipsia, diede alle stampe un volume sulla Puglia, regione che apprezzò molto e che fu oggetto di attente ricognizioni. L’opera nel 1882 sarà tradotta in italiano da Raffaele Mariano, con il titolo Nelle Puglie, provocando anche delle vive polemiche contro il punto di vista troppo “tedescocentrico” dell’autore.
I primi anni a Roma furono comunque duri. Lo stesso Gregorovius annota, il 9 maggio 1854: «Vivo completamente isolato, debbo lavorar sodo, per mantenermi a fior d’acqua».
Andò poi ad abitare, come molti altri intellettuali stranieri temporaneamente residenti a Roma, in una casa al civico 14 di via Gregoriana, dove restò dal 1860 al suo ritorno in Germania nel 1874, come ricorda la targa affissa sulla facciata.
Passeggiate per l’Italia vol 1 (testo in PDF) – La Campagna romana – I Monti Ernici – I Monti Volsci – Idilli delle spiagge romane – Il Circeo – Le sponde del Liri – Il Castello degli Orsini in Bracciano
Passeggiate per l’Italia vol 2 (testo in PDF) – Subiaco – Attraverso l’Umbria e la Sabina – Il Ghetto e gli Ebrei di Roma – Macchiette romane – Storia del Tevere – L’impero, Roma e la Germania – Una settimana di Pentecoste in Abruzzo
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Vecchia Calabria di Norman Douglas racconta un viaggio attraverso la Calabria avvenuto tra il 1907 e il 1911. La prima edizione in inglese fu pubblicata nel 1915, mentre la prima edizione italiana fu pubblicata nel 1962.
Vecchia Calabria è giudicato uno dei migliori libri di viaggio sulla Calabria. L’autore ripercorre l’itinerario, da Lucera a Crotone, descritto in due precedenti reportage di viaggio: “La Grande Grèce” dell’archeologo francese François Lenormant e “Sulla riva dello Jonio” (By the Ionian Sea) dell’inglese George Gissing.
Douglas si interessa soprattutto al paesaggio, esotico e lussureggiante, e agli abitanti, ricchi di vitalità, facendo spesso riferimento all’archeologia e alle vicende storiche dell’età classica.
Nonostante le dotte citazioni e i riferimenti letterari, nel testo di Douglas sono frequenti le considerazioni sulle condizioni sociali ed economiche della Calabria dei primi del XX secolo (per es. la malaria o il brigante Giuseppe Musolino).
Per Douglas l’ambiente calabrese, pur aspro e difficile, contrasta con la “patologica mestizia degli uomini del Nord Europa”.
Douglas parla anche di alcune zone della Basilicata, soprattutto il Pollino e Venosa, ove espresse anche un elogio ad un monumento della città di Orazio, il Complesso della SS. Trinità.
Douglas scrive Old Calabria nel 1915, di ritorno dal suo secondo viaggio nella regione, tra una piccola stanzetta alla periferia di Londra e la mitica sala di lettura del British Museum. Old Calabria non è solo un gran libro di viaggio ma anche un’aggiornata e utile “enciclopedia” sulla realtà calabrese, un eccellente strumento di divulgazione della Calabria. L’elenco delle curiosità e degli interessi dell’autore é impressionante. Tutto quello che l’occhio riesce a scorgere, subito lo riguarda: Douglas non è mai indifferente o distratto.
Lo interessano le chiese, che lo entusiasmano a patto che siano austere e antichissime, i ruderi di monasteri, le celebrazioni liturgiche albanesi, la religiosità e la superstizione. Ma anche la vita profana e civile, i volti della gente comune, le posture di solitari pastori, le scritte sui muri, le ingenue pubblicità paesane, i murales di protesta, il culto della pulizia.
Il controllato lirismo di Douglas si scioglie e prorompe, però, in presenza del paesaggio calabro al punto che quando ci trasporta in Sila e ci fa accampare sotto il pino laricio, noi lettori quasi rabbrividiamo per il brusco passaggio dalla luce all’ombra e dalla canicola al refrigerio.
Unanimamente considerata l’opera migliore di Douglas, Old Calabria è stato tradotto in tutte le lingue conosciute dell’epoca. (www.oldcalabria.it/grand-tour-norman-douglas)
Capitoli
Lucera Saracena – La città di Manfredi – L’angelo di Manfredonia – Culto cavernicolo – Terra d’Orazio – A Venosa – La fonte Bandusia – Coltivatori del suolo – Viaggio ancor più a sud – Il frate volante – Vicino al mare interno – Molle Tarentum – Nella giungla – I draghi – Bizantinismo – Riposo a Castrovillari – L’antica Morano – Gli intrusi africani – Gli altipiani del Pollino – Una festa in montagna – Milton in Calabria – La “Greca” Sila – Gli albanesi e il loro collegio – Un chiaroveggente albanese – Arrancando verso Longobucco – Fra i Bruzi – Brigantaggio calabro – La grande Sila – Caos – Verso Montalto – Santi meridionali – L’Aspromonte calamita delle nuvole – Musolino e la legge – Malaria – Da Caulonia a Serra – Ricordi di Gissing – Cotrone – Il saggio di Crotrone – Mezzogiorno a Petelia – La Colonna
Norman Douglas nasce a Thüringen nel 1868. Innamorato del Sud d¹Italia, lo percorse in lungo e in largo e gli dedicò alcuni libri famosissimi: Siren Land (1911), South Wind (1917) e Old Calabria (1915), quest’ultimo il migliore di tutti. Il corteggiamento di Douglas al Mezzogiorno cominciò presto. Nel 1888 visitò il Bel Paese per la prima volta e questo viaggio fu per lui, come lo era stato per altri nordici, una resurrezione fisica e morale. Nel 1896 comprò una villa a Napoli, alla Gaiola, sulla punta di Posillipo, e la chiamò Villa Maya. Diplomatico in eterno congedo, senza una gran voglia di riprendere servizio a San Pietroburgo, abitò lì fino al 1904 quando, divorziato e impoverito, si trasferì a Capri, a Villa Daphne. Nel 1907 visitò la Calabria per la prima volta. Vi ritornò nel 1911 e poi ancora nel 1937. Della Calabria Douglas amava la natura selvaggia, i mari cristallini, le popolazioni fiere e il sovrapporsi di tracce e memorie storiche. Curioso di tutto, audace, astuto, resistente al disagio, poliglotta, sessualmente eccentrico, osservatore di costumi e riformatore della politica, interclassista e conservatore, democratico e alla mano nel tratto, ma grande gentiluomo, simpatetico ma non sentimentale, Douglas rappresenta un¹esperienza umana e una lettura rinfrancanti, istruttive e divertenti; e soprattutto così acute da essere in anticipo sui nostri tempi e sulle nostre idee. Muore a Capri nel 1952
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Corrado Alvaro
Negli anni trenta, per le contraddittorie strade della Penisola Corrado Alvaro, allora giovane ma già noto narratore: in bilico tra disposizione cosmopolita e idillio paesano, la raccolta di prose “Itinerario italiano” costituisce una delle prove migliori di quella stagione letteraria.
È la ferita ancora aperta della guerra a dare avvio al suo viaggio.
Dalla Bassa Ferrarese alla Maremma, all’Abruzzo, alle terre napoletane, alla Calabria, attraverso paesaggi, architetture e topografie dei centri minori e delle città, incontrando i mille e faticosi mestieri degli uomini e delle donne, lo scrittore intraprende una ricerca che è storica, etica e autobiografica a un tempo, e giunge a una verità più profonda e universale: è la provincia la chiave interpretativa della civiltà italiana, da tutelare contro ogni eccessivo tentativo di accentramento. La forza dell’Italia è solo in essa, la sua fortuna futura è esclusivamente affidata alla capacità di conservare, entro un tessuto umano in esposizione, quell'”intelligenza, qualità, tecnica, individualità, personalità che rappresentano l’eredità principale che ogni emigrante porta con sé dal suo piccolo municipio; la rovina della nazione, viceversa, non può non coincidere con la rescissione radicale di ogni legame con la terra d’origine.
E’ il diario puntuale, quasi una sceneggiatura di un film che, agli occhi di un sessantenne come me, pare visto e ricordato ma con un leggero fuori registro per scene ormai scomparse già ai mie tempi, ripercorrendo i luoghi trentanni dopo.
“Se l’Italia avesse dovuto riassumere in una sola esperienza la sua fatica a vivere, non avrebbe potuto inventare di meglio.
È lo stato naturale del popolo italiano: allo stesso modo e con la stessa fatica si procurano in qualche regione il pane e l’acqua, con la stessa pazienza rimangono dove la natura ha distrutto ogni cosa.
Ricominciamo: enormi e pietosi bambini. Ma il cannone abbrutisce, non rimane che il corpo, e il corpo è abituato a resistere. Hanno inventata una guerra, alla fine, per i contadini e i montanari, per i fabbricatori di case, per i minatori, i facitori di argini, i costruttori di strade. La guerra è diventata una quintessenza della fatica umana più primitiva”.
Corrado Alvaro nasce a San Luca, un piccolo paese nell’entroterra ionico calabrese, ai piedi dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, primo di sei figli di Antonio, un maestro elementare, e di Antonia Giampaolo, figlia di piccoli proprietari.
Nel 1905 si trasferisce nel collegio gesuita di Villa Mondragone a Frascati, diretto dal famoso grecista Lorenzo Rocci. Corrado passa cinque anni in questo collegio, frequentato dai rampolli dell’alta borghesia romana e quindi dalla futura classe dirigente italiana, studiando avidamente e cominciando a comporre le prime poesie. Nel 1910 è costretto a lasciare Villa Mondragone per aver praticato letture non autorizzate.
Compì i suoi studi liceali presso il Galluppi di Catanzaro, dove nel 1913 conseguì la licenza liceale e dove rimase fino al gennaio del 1915, anno in cui partì militare per combattere la Prima guerra mondiale.
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Lettere d’amicizia a Silvio Pellico 1833 – 1834
Marchesa (Juliette Colbert) Giulia di Barolo
1833-1834
45 lettere a Silvio Pellico che rivelano gusto e piacere descrittivo della Marchesa di Barolo che, senza mai avere i toni cattedratici o saccenti dell’erudito, “dipinge con le parole”; un vero diario fatto di racconti, innestato di considerazioni emozioni vere e profonde.
Il suo stile epistolare è esteticamente valido in quanto suscita sensazioni che prescindono dalla forma e vanno nella profondità del cuore o attraggono nella altitudine della mente.
Un senso di meraviglia per il bello aleggia nei racconti e nelle riflessioni, o si insinua negli stupori di scoperte archeologiche: tutto è così vividamente tratteggiato che ci si sente coinvolti e immersi in quelle atmosfere.
I luoghi visitati sono molti, le parole per descriverli poche ma sentite e ricche di significato, lungo itinerari che vanno da Firenze e dintorni al lago Trasimeno e alla strada per Roma; quindi Roma e i suoi itinerari museali, spirituali ed architettonici; poi, giù giù per la Campagna Romana le Paludi Pontine, fino a Terracina. Napoli, Benevento e la Campania con i suoi luoghi archeologico. Per tornare e finire a Ravenna.
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Ricordanze della mia vita
volume primo
capitolo X – Catanzaro
capitolo XI – Calabria
Luigi Settembrini
1835-1837
lo scrittore e patriota Luigi Settembrini – napoletano trasferìtosi con la moglie dopo aver vinto nel 1835 il concorso per la cattedra di Eloquenza e Greco nel liceo Galluppi di Catanzaro – legato alla città da un particolare rapporto affettivo: “Io le voglio un gran bene a quella città di Catanzaro, e piacevolmente mi ricordo sempre di tante persone che vi ho conosciute piene di cuore e di cortesia, ingegnose, amabili, ospitali.
La città è sita sovra un monte in mezzo della Calabria: dietro le spalle le van sorgendo altri monti sino alla gran giogaia della Sila, che di verno si vede coperta di neve, e su la neve sorgono nereggianti i pini: dinanzi le sta un vastissimo terreno ondulato di colline che sono sparse di giardini, di orti, di case, di vigne, di oliveti, d’aranceti, e di pascoli dove biancheggiano armenti: e tutto quel terreno si curva in arco sul mare Ionio che tra i capi Rizzuto e Badolato forma il golfo di Squillace.
Il mare è distante da la città sei miglia, ma ti pare di averlo sotto la mano, e ne odi il fragore: vi si discende per una strada che va lungo un torrente, e quando sei su la riva trovi un villaggio che chiamano la Marina, dove i signori hanno loro casini e la primavera vanno a villeggiare.”
Così recita l’l’incipit del X capitolo del primo volume delle sue “Ricordanze della mia vita” che Settembrini dedica interamente alla città. (leggi tutto il testo dei capitoli X e XI)
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
1953-1956
Nell’incipit della prefazione al volume, Piovene spiega che “Quest’inventario delle cose italiane fu fatto per incarico della Rai e affidato, via via che lo andavo scrivendo, alle onde radiofoniche.”
Cominciò da Bolzano il Viaggio in Italia di Guido Piovene, e proseguì regione dopo regione, città dopo città, fino a coprire ogni landa, anche la più dimenticata.
Andar piano e fermarsi spesso, questa la filosofia del viaggio che interessa a Piovene; perché gli interessa conoscere bene i borghi e le città che attraverseranno, respirarne l’aria, parlare con chi ci vive. Insomma, pensa quasi a uno Slow tour, come quelli che facevano i viaggiatori del Grand Tour.
Piovene progetta un racconto ancorato alla realtà e ideologicamente non contaminato, non ottimista o pessimista a priori. Un diario costruito su ciò che incontrerà e che scoprirà, scritto in maniera disincantata ma partecipe. Offre riflessioni sull’identità di un Paese appena uscito dalla guerra e che vede l’alba del miracolo economico, ma con un popolo che rimane sempre uguale, diremmo fedele, a se stesso,se si ha avuto modo di leggere i precedenti Viaggi in Italia di Goethe e Corrado Alvaro, distanti tra loro decine di anni.
Durò tre anni buoni quell’impresa radiofonica Rai, senza precedenti dalla quale scaturì un libro altrettanto senza precedenti, per la scrupolosità come un censimento, la fedeltà come una fotografia, circostanziato come un atto d’accusa.
L’Italia che Piovene visitò e descrisse è quella degli anni Cinquanta, tra ricostruzione e boom economico, che dovrebbe apparire, a uno sguardo contemporaneo, antica e lontana. Invece risulta inaspettatamente simile a quella narrata da Goethe e da Corrado Alvaro (che tra parentesi raccontò un’Italia in fase di ricostruzione post bellica).
Piovene riesce, come un antropologo, a far emergere dal suo viaggio il carattere nazionale, quello immutabile, che resiste alle mode e ai rovesci della storia. Quel carattere che potrebbe essere riconosciuto e raccontato anche oggi con le stesse parole: illusioni agricole e industriali del Mezzogiorno, inficiate dalla mafia e dalla mentalità mafiosa che esprimeva una classe dirigente locale dalla scarsa moralità. Vale per lo spirito predatorio post-ricostruzione: «In nessun altro Paese sarebbe permesso assalire, come da noi, deturpare città e campagne, secondo gli interessi e i capricci di un giorno». Vale per la logica brada e senza freni etici che si sta imponendo pur di allontanare lo spettro della miseria: «L’Italia è diventata il posto d’Europa più duro da vivere, quello in cui più violenta e più assillante è diventata la lotta per il denaro e per il successo».
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
1959
Estate 1959. Per la rivista Successo, Pier Paolo Pasolini percorre la costa italiana al volante di un Fiat Millecento per realizzare La lunga strada di sabbia un ampio reportage sull’Italia tra cambiamento e tradizione, vacanza borghese e residui di un dopoguerra difficile. Un testo di grande bellezza che continua a colpire per la sua profondità e poesia.
A quarant’anni di distanza, il fotografo Philippe Séclier ha ripercorso quello stesso itinerario, ritrovando tracce, immagini e memoria del grande scrittore e del suo memorabile ritratto dell’Italia.
Ora, per la prima volta, viene pubblicato il testo completo de “La lunga strada di sabbia”, insieme al dattiloscritto originale di Pier Paolo Pasolini e alle fotografie di Séclier.
Un documento unico per tornare a conoscere, a trent’anni dalla sua morte, l’arte di un grande scrittore e intellettuale e riscoprire il forte legame che lo univa al nostro paese.
Un brivido profetico prende il lettore di oggi alla pagina dedicata al litorale romano, dove il poeta verrà assassinato quasi quarant’anni fa: «Arrivo a Ostia sotto un temporale blu come la morte. L’acqua svapora, tra tuoni e fulmini. I villeggianti sono stretti nei bar, sotto i capanni, con la coda tra le gambe. Gli stabilimenti, vuoti, paiono immensi».
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Un viaggio in Italia
1983
Guido Ceronetti, scrittore irriverente, nato nel 1927 a Torino, è un artista dai mille volti: filosofo, poeta, scrittore, giornalista, drammaturgo, ed anche traduttore dal latino e dall’ebraico antico. La sua rilevante produzione letteraria è di un autore senza pari.
Ceronetti è anche un vegetariano convinto e sostenitore animalista, il suo motto è che per essere diversi bisogna iniziare dal nutrimento.
Cosa accade quando Paolo Rumiz partendo per il suo annuale viaggio di avventura agostana da raccontare sulle pagine di “Repubblica ” sceglie di svolgerlo sulle ferrovie minori d’Italia, quelle che si sta cercando di far scomparire per poter alimentare il pozzo senza fondo dei Treni ad Alta Velocità, allora i pochi neuroni iniziano a vibrare come girini impazziti.
Tra stazioni fantasma, rami secchi e moribondi, locomotori esausti e carrozze ai limiti della decenza, vecchi ferrovieri innamorati dei propri treni e giovani irriverenti, Rumiz ed il suo amico ci porgono il ritratto di un’Italia cialtrona, ancora una volta, lontana dalla realtà e dai territori.
«Sono un uomo da pausa, non da arrivo.
È in quel momento che comprendo a fondo il senso del viaggio: girare attorno al traguardo, farsi trascinare da un istinto interiore, socializzare
con persone che puoi incontrare solo nelle pause, cambiare obiettivo, sentire il territorio sotto i tuoi piedi.»
Questo libro non è una guida scritta da un viaggiatore professionista per aspiranti viaggiatori professionisti. Non propone itinerari, non consiglia hotel, ristoranti o negozi tipici. Semplicemente, chi l’ha scritto non se l’è sentita di catalogare il mirabolante universo del Viaggio dentro le lineari coordinate di una guida di viaggio. Questo libro è peregrinazione impigrita, su e giù per i timidi tornanti molisani, riflessioni sorridenti di un viaggiatore suo malgrado. Non è per cattiveria, ma «come dice Parise, passano gli anni, ottieni quello che vuoi, ne passano altri e poi è finita. Ci vuole, dunque, una pausa».
Che non ci sia bisogno di impoverirsi per poter godere di tutta questa meraviglia, poi, è un inestimabile bonus e un necessario memento, in tempi come questi. Nel solco dell’insegnamento di un vero estimatore del grand tour, René de Chateaubriand, il quale ebbe a dire (in tempi non sospetti) “La vera felicità costa poco. Se è cara, non è di buona qualità”.
La biografia di Isa Grassano

Paolo Rumiz è tornato sul tracciato di una grande strada romana, quella che dalla capitale conduceva, via Appennino, al porto di Brindisi: la porta d’Oriente.
Paolo Rumiz ha percorso a piedi, con un manipolo di amici, il tracciato di una grande via romana: l’Appia. Lo ha fatto spesso cavando dal silenzio della Storia segmenti cancellati, lo ha fatto ascoltando le voci del passato, lo ha fatto destando la fantasia degli increduli incontrati lungo il viaggio.
E ora ci chiama come un pifferaio magico a seguirlo con le nostre gambe e la nostra immaginazione lungo la via Appia – il nostro giubileo, la nostra Santiago di Compostela. Da Orazio ad Antonio Cederna (appassionato difensore dell’Appia dalle speculazioni edilizie), da Spartaco a Federico II, prende corpo una galleria di personaggi memorabili, mentre si costeggiano agrumeti e mandorleti, si incontrano le tracce di arabi e normanni e ci si interroga sui misteri della viabilità italiana, sull’incomprensibile abbandono dei luoghi della memoria. E intanto le donne vestite di nero, i muretti a secco, la musicalità della lingua anticipano l’ingresso nell’Oriente.
Al racconto di Rumiz fanno da contrappunto le mappe disegnate da Riccardo Carnovalini, che rielabora e mette a punto le tracce del percorso: un contributo prezioso e uno strumento utilissimo – considerata l’assenza di segnaletica – per chi volesse seguire le orme di Rumiz e dei suoi compagni di viaggio.
“Paolo Rumiz ci regala con questo libro un nuovo grande viaggio fatto di storie, voci, fantasmi, suggestioni. Una via mitica d’Europa che non è mai stata raccontata.”
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Enrico Menduni scrittore e documentarista, insegnante di Cinema e televisione all’università Roma Tre, racconta come sono cambiate le stazioni, gli interni industriali nascosti dietro facciate teatrali, e i treni, le littorine di una volta fino ai bolidi più moderni.
Se il mio lavoro ti piace, puoi offrirmi anche solo 1 caffè
Picture from Italy, Charles Dickens – 1846